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domenica 28 ottobre 2012

E domani è un altro giorno.

E domani è un altro giorno. Un altro giorno di cose da fare, di espressioni da decidere, di parole da ricercare. Domani ricomincerà lo sforzo, la selezione dei ragionamenti, il modo con cui approcciarsi alle persone che bene o male girano intorno alla tua vita. Sì, bene o male perché non tutte le puoi scegliere. Al di fuori del tuo ambiente ci sono decine di uomini e donne che non stimi, magari loro non stimano te, ma ci devi convivere, ti devi sforzare. A volte devi mandare giù bocconi amari perché non si può sempre litigare o non parlare con nessuno. Poi il tuo lavoro è fatto di migliaia di parole che scorrono una dietro l'altra per ore. Quindi devi uscire dalla tua piccola sfera che ti protegge e uscire fuori, a volte impaurita a volte solo stanca. Pochi capiscono il tuo stato d'animo perché tutti amano andare e nello stare  fuori sperano di incontrare altri con cui dialogare o divertirsi, semplicemente. Non tu. Tu hai ereditato un mondo tutto tuo dal quale non ti staccheresti mai, se non costretta. La tua socialità è fatta solo di lavoro e ti basta. La tua vita è altro. E ne sei gelosissima, non vuoi che nessuno penetri quello scudo che hai costruito con anni di sforzi. E domani si andrà per il mondo ad elargire parole e concetti, sei felice solo perché sai che sarà per poche ore. A casa ti aspetta il tuo mondo.


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Il mio treno sta per partire.

Una penna, ti scrivo due righe. In fretta che il mio treno parte, e non ce ne sono più fino a domani mattina. Non vorrei mai rimanere qui tutta la notte. Ti lascio anche il mio numero di telefono. Tienilo per i momenti di bisogno, sono una cara amica, nulla di più. Fino a una settimana fa, non avrei mai pensato di riuscire a dirti queste cose, quasi un soffio di malinconia esce dalla mia bocca, ma non parla lei, non si è impossessata dei miei sentimenti, ora. E' finita in modo tranquillo, quasi una preghiera la mia, per riuscire a rincuorarmi da sola. Chissà se domani uscirà lo stesso sole di oggi, la sera sarà tranquilla e non avrò sentimenti contrastanti. Sei pallido in volto, non avrai cambiato idea, spero. E' l'ultimo saluto, ma sapevamo che la nostra storia d'amore era finita già da tempo. Abbiamo solo tentato, ci siamo trascinati avanti con questa storia, perché tu lo sapevi ma forse in cuor mio lo sapevo anch'io. Ora basta, ti scrivo solo due righe, il mio numero nuovo te lo sei segnato. Addio, vivacissimo amico, hai segnato una parte della mia vita, anche senza molta convinzione. Sei stato molto egoista e prepotente su alcune cose, ma basta, non recrimino più. Il treno parte...




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venerdì 26 ottobre 2012

Ero zuppa di pioggia.

Mi era passato l'appetito. Avevo caldo, in una strana serata d'autunno inoltrato, ma non ci facevo caso, altri pensieri tormentavano la mia pelle e con essa il mio corpo intero. Avevo una sorta di affanno, come quello che si prova dopo uno spavento improvviso, come il rivederti di colpo, in una serata da lupi. Mi aveva fatto sobbalzare. Eri mesto, avevi suonato alla porta ma non era uno scampanellio, solo un flebile lamento. E afflitto ti addentravi nella stanza semi buia, il mio colore preferito nelle serate d'autunno, dove tutto impigrisce, anche la pioggia che scende e bagna la vita di chiunque, fin dalle fondamenta. Anch'io ero zuppa di pioggia, quella sera, una pioggia incessante che mette i ricordi in fila indiana, uno avanti all'altro e tu non puoi che passarli in rassegna, ti appartengono e non li puoi condividere con nessuno. Non vuoi condividerli con nessuno, ne sei troppo gelosa. Cosa volevi in una serata così, dove chiunque vuole restare solo con le proprie giornate trascorse, a rammentare gli spazi che ha lasciato il passato, impossibili da riempire. Come un vaso vuoto, inutilizzato che porti con te e nel quale ogni giorni metti un po' di quello che vorresti dire e invece taci, cose che vorresti scrivere, ma non hai la penna, urla che vorresti sprigionare ma non ne hai il coraggio. E insieme a tutte queste cose, rimangono molti spazi vuoti, che non si incastreranno con niente, se non lo vorrai. Sei ancora giovane tu. La vita ti ha provato meno di tanti altri. Ma che ci fai qui? Non vedi che ho il mio bel da fare a risistemare un po' di cose scombinate, è un'attività importante e difficile. Poi non sempre riesce. Ti guardo ma non sorrido, ho un'espressione di rimprovero anche se sono anni che non ti vedo, sono disinteressata. Te ne rendi conto e accenni a parlare ma io, prontamente, ti zittisco. Taci, non mi distogliere da questo momento che impegna molte mie forze e sono già provata. Entra, se ti va e siediti, ma non parlare. Senti come piove e il mio corpo è zuppo di pioggia, è fradicio di acqua stagnante che mi entra nelle ossa. Non sono impermeabile io, non lo sono mai stata. Tutto entra e niente esce più. Sono diventata anch'io un contenitore, come quel vaso pieno di tutta una vita. Questa sera ho preso uno spazio, uno di quelli importanti. Voglio metterci il cuore per capire i miei ricordi. Forse ci sei anche tu, mescolato qui dentro e non voglio che ti ci ritrovi. Io e te non abbiamo più nulla da condividere e ti indico la porta dalla quale sei entrato. Vattene ora, ti ho dato più di quello che meritavi. Lasciami sola, lasciami zuppa di pioggia.

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giovedì 25 ottobre 2012

Un patto con il diavolo.

Ho stretto un patto con un diavolo che si chiamava Stefano. Era alto, bellissimo, carismatico. Doti eccezionali prese tutte insieme, ma lui era così. Ci amavamo, ci volevamo solo come due adolescenti possono promettersi uno all'altra. Ridevamo del nostro patto suggellato in silenzio, dalle nostre labbra semiaperte. Confidavamo in questo amore eterno, come tutti i ragazzini di questa terra che si sentono già in grado di promettere. Indivisibili, due gemelli siamesi di tenerezza, abbracci, dolci baci e più in là non siamo andati. Forse non sapevamo nemmeno come fare. E si cresce, si va dove porta la vita, ci si allontana ma resta sempre il telefono, le lettere. Sempre meno frequenti, troppe cose da fare, troppa vita da vivere in fretta e ognuno a modo suo. Nella spensieratezza della vita che ti porta all'età adulta, conoscevi decine di ragazzi ai quali promettevi amore eterno e loro a te. Dopo anni, hai saputo che lui era ancora là, al paese. Ti raccontarono che era meno bello, per nulla carismatico. Viveva da solo. Ogni tanto lo si vedeva girare in paese, con l'aria persa di chi cerca qualcuno. E tu ammutolisci e ricordi il patto, era alto, bellissimo e carismatico, Stefano. Ma un altro uomo ha avuto la tua anima.


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Luca se ne andò.

A Luca il paesino era diventato stretto, come una vita vissuta sempre nel medesimo luogo, dove conosci perfino i sassi che compongono la strada. Ma Luca aveva una famiglia. Della moglie, ormai, poco gli importava, era più una persona con cui condividere conti, problemi, il fine mese che arriva e non hai mai i soldi per affrontarlo. Poi c'erano i suoi figli che amava molto ma che, e se lo diceva da solo, era sempre stato un egoista e non li avrebbe voluti. C'era il lavoro, qualche amico. Ormai nulla più gli bastava, la vita cominciava a perdere di significato perché era monotona, ogni giorni era la fotocopia del precedente e di quello prima. Arrossiva ai suoi pensieri così egoistici, ma non poteva fare nulla, non si possono nascondere sotto terra, come faceva da bambino con i suoi tesori. I pensieri emergono dal sonno, insieme a te e ogni giorno pesano sempre di più. Aveva fatto ipotesi, Luca, alcune le aveva scartate, altre gli sembravano plausibili, tutte erano dolorose. Una mattina decise di prendere il coraggio a due mani e senza che nessuno sospettasse, se ne andò. Non si portò nulla, tranne che i suoi pensieri solitari. Visse solo per circa tre mesi, poi capì di aver sbagliato tutto nella vita e che alcuni errori si pagano per sempre. Tornò dalla moglie, dai figli, più stanco e sfiduciato di prima. Si fece festa. Lui avrebbe voluto morire.


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C'è silenzio in me.

C'è un silenzio in me. Si espande e le luci si fanno più soffuse. Non è nulla di magico, avviene, ogni tanto tutto si inceppa, le lancette dell'orologio si fermano in un nulla di preciso. Niente accade, l'immobilità regna sovrana. Cala un velo di sapore vecchio, un velo stopposo che graffia anche la pelle. Ma è silenzio, neppure un fruscio. Nulla distoglie dal momento che vivo. Prego che passi in fretta questa tensione che mi opprime e mi fa rallentare il battito del cuore e mi offusca la mente. E' più di un momento. Sono molti momenti che si susseguono uno accanto all'altro. A volte sospiro, ma leggermente, ho paura di soffocare in questo silenzio angustiante. Muovo gli occhi alla ricerca di un appiglio, qualcosa che mi faccia tornare al mondo di sempre. Ma spesso non ne trovo. E resto così, cautamente immobile ad aspettare non so nemmeno io cosa. Ogni volta le sensazioni sono diverse. Per nulla belle, poco sostenibili, avanzi di qualche momento passato ancora da rivivere. E mi disincanto.



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mercoledì 24 ottobre 2012

Vorrei andare oltre.

Il mio rifugio in questa terra è cinto da mura
non c'è roccia intorno, non c'è calcare
solo finestre con le sbarre, imbarazzanti,
sortiscono un effetto di prigionia e solitudine
uno scudo verso l'esterno,
uno schermo per l'interno.
Impazzisco dentro questo ostacolo
mi priva della vista e ostruisce la fantasia.
Mille leccornie oltre il confino,
vite, amori, morti, desideri e io qui
che non posso sedare la mia sete.
Ho sete di vita, quella vita oltre.
Oltre le sbarre, oltre i confini.
Raccatto quello che trovo
con lo sguardo, ma oltre non vedo.
Non vi è niente di nuovo, per me
nulla di emozionante, rinchiusa.
Confinata in un ambiente tutto mio
dal quale posso solo osare pensieri,
reclusa in un angolo del mondo
a sperare, immaginare, sognare.
Assediata dalla mia stessa vita.
Martorizzata dal mio stesso essere.
Vorrei, quanto vorrei andare oltre,
oltre le sbarre, oltre i confini,
via da questa prigione
che mi allontana dalla realtà,
sempre più, ogni giorno di più.
Delusa e amareggiata
vorrei andare oltre.

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domenica 21 ottobre 2012

Dammi il cinque.

Dammi il cinque, cinque dita che si uniscono, a volte si stringono. Vuol dire complicità. Due mani, usate per tutto ciò che è il movimento quotidiano, insieme fanno fazione. Le mani e le dita sono il laccio che unisce il corpo a tutte le relazioni. Cinque dita che sanno e possono fare tutto, basta solo che si muovano. E tu le hai sempre a disposizione, sempre vive e vivaci. Le tue mani hanno vissuto quanto te, hanno argomentato insieme alla tua voce, a volte hanno parlato da sole. I gesti, spesso, sono molto eloquenti. Mani che salutano. Mani che si stringono ad altre. Mani calde e ardimentose. Sono le prime a parlare delle persona che abbiamo di fronte. Le mani ci aiutano a conoscere molte sensazioni che nemmeno la vista ci può regalare. Quante volte abbiamo accarezzato con le mani. Carezze sottili, a volte impercettibili, che facevano accapponare la pelle. Mani che si cercano, si stringono, molte volte si divincolano. Mani sfuggenti, affondate nelle tasche. Mani intoccabili, perché fanno sognare tutto quello che un frammento di pelle può raccontare. Le mie mani chiuse nelle tue, strette a pugno, una sorta di protezione dal mondo esterno. Accarezzami il viso con tutte e due le mani e sciogliti in un abbraccio forte e lungo. Mani che zittiscono, ma che vorrebbero parlare. Accoglimi, prendimi per mano e fammi volare come quando si era bambini e quando ti fermavi ti girava la testa. Mani.


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Restiamo amici

Seduti a ragionare sul bordo di un marciapiede. Le macchine ci sfrecciavano davanti, incuranti di noi. Si parlava della nostra situazione strana. Di innamorati che non potevano amarsi. Mentre i nostri occhi smentivano tutto ciò che dicevamo e ne avevamo timore. Per non guardarti spesso, facevo finta di fare altro, mentre tu sorridevi e continuavi a discutere, ti ho lasciato parlare molto quella sera. Non ti ho quasi mai interrotto perché volevo sentire tutto ciò che avevi inventato per chiudere definitivamente una storia impossibile, un affetto che volevamo a tutti i costi e che non potevamo permetterci. Io non potevo permettermi, anche se avrei voluto, Dio se avrei voluto. Ridevamo molto, noi due, ci prendevamo in giro, era così bello punzecchiarsi. Mi hai preso in giro tutta la sera, ti ho portato a mangiare la pizza, ma il luogo che avevo deciso aveva il forno rotto. Abbiamo mangiato un riso con le fragole. Non lo mangerò mai più. Abbiamo parlato per ore, abbiamo camminato. Ci siamo seduti su una panchina e tu mi hai abbracciato. Ti sei avvicinato troppo e te l'ho fatto notare. Anche se in cuor mio avrei voluto darti l'ultimo bacio. Restiamo amici... ma non era possibile e lo sapevamo entrambi.






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venerdì 19 ottobre 2012

Comincia

Non raccontare mai una storia se non ne conosci la fine. La mia è finita e non la posso che spargere ai quattro venti senza un inizio magico. La mia storia non va raccontata con 'c'era una volta' perché è una storia comune, di amicizia e amore. Una storia che inizia bene e che finisce male, tutto qua. Nel mezzo tutte le emozioni di cui sono stata capace, tutti i dolori che ho provato, senza poterci far nulla. La vita di un amore comincia e finisce in un battito di ciglia, finita, non ci si ostina a sedimentare rancore, si volta pagina. E nel voltare pagina ti rendi conto che è pesante, sembra un macigno. Sembra il più grosso volume mai letto, mai aperto. Dentro c'è scritto tutto quello che sei, che hai fatto, ciò di cui avresti bisogno. Ma nessuno legge, nessuno ti legge, anche se sei semplice e ti vorresti far amare. Hai ancora molte pagine bianche, come sei un po' più canuta, ora. Ricominci, perché si può sempre ricominciare, con grande affanno, sdegnata del filo che conduce i ricordi, ma vai. Le prime lettere che scriverai saranno tremule, come scrivono i bambini nello scrivere la prima volta, ma dopo un po' di esercizio sarai più spedita, veloce, forse scriverai parole confortanti o di nuovo parole di passione. Ora, intanto, comincia.





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mercoledì 17 ottobre 2012

Un colpo di cannone

Un colpo di cannone ti sveglia, ti guardi attorno ancora intorpidita dal lungo sonno e non sai, non ti rendi conto. Non te ne capaciti perché non viene da fuori questo rumore, ma è uno scoppio nella tua testa. Ti sollevi stupefatta e ad occhi sbarrati cerchi di capire. Avevi pianto, ieri sera, avevi le lacrime viscose, ancora appiccicate alle guance, poi sfinita, ti eri addormenta sui tuoi pensieri. E poi questo, questo rumore assordante, come a decretare l'inizio di qualcosa, una sveglia solenne, una parata di idee che si riorganizzano dentro di te. Un colpo assurdo, pensi, una deflagrazione, ma niente ti faceva più sorridere da tanto tempo. Una scossa improvvisa. E sorridi. Hai la mente lucida come non mai e cerchi di rammentare il perché delle tue lacrime. Pensi a lui, alla sua voce, alle sue mani, al suo respiro su di te. E poi fai una scoperta che ha dell'incredibile, lui non c'è più, se n'è andato in silenzio una mattina di maggio, senza una parola, senza un addio, senza lasciarti modo di capire. Un colpo di cannone su questi pensieri che ti hanno straziato per mesi e che ora ritrovi a malapena tra le macerie lasciate dal colpo che ancora rimbomba nella tua testa. Un colpo di cannone, un impatto sicuro, un taglio drastico, una cosa che succede a pochi, come a pochi succede di piangere un amore mai nato. Ti senti libera, come tutte le persone che sanno dimenticare. Ti senti di nuovo te stessa pronta ad un amore o forse ce l'hai già accanto e che ha provato, ultima speranza, a scuoterti. E ti riaddormenti serena, piena di quel rumore che solo ora hai capito cos'è.



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Agnese voleva danzare.

Agnese voleva solo danzare e lo faceva, sempre. Lo faceva con la mente. Al risveglio, ogni giorno piroettava a lavarsi il viso e le mani anche nelle giornate in cui l'acqua della sera prima era gelata. Ma non importava, quasi non la sentiva, la sua mente era occupata da tutti quei passi chiamati con nomi strani, ma che lei non ricordava. Perché Agnese non era andata a scuola, in quegli anni non si usava e poi lei doveva lavorare per dare un aiuto alla famiglia. Dopo essersi lavata il viso e le mani, si vestiva di quei quattro cenci del lavoro, metteva un fazzoletto in testa per raccogliere tutti quei ricci e usciva, felice, saltellando e piroettando. Ne aveva di strada da fare a piedi per andare dalla sua signora a lavare i panni, ma si consolava pensando che mentre li stendeva, poteva ballare. E le mani rattrappite dentro quell'acqua gelida non la fermavano, lei sognava, sognava di levarsi in volo come facevano le vere ballerine e di saltare sulle punte. Agnese ha tanti anni, una bella casa e la lavatrice. Tiene i capelli bianchi raccolti in uno chignon, ha imparato un po' di francese, quello che si usa per i passi di danza e ha un album di figurine, lo tiene gelosamente nascosto, c'è il sogno di tutta una vita. Quando la vai a trovare te lo mostra, tutte le foto di ballerine famose e lei in una recita, con un paio di scarpette rosa e un abitino in seta. Ballava, era la più brava anche se non sapeva né leggere, né scrivere, ma aveva imparato i nomi francesi, quelli che si usano per i passi di danza. Se vuoi ti fa toccare quella foto, ma piano è il suo sogno.



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martedì 16 ottobre 2012

Ardire

Ardire. Avrò questa temerarietà quando mi sarai di fronte? O le mie saranno solo illusioni davanti ad uno specchio ad immaginare un incontro. Sperare in un viso che si esprime con un sorriso, il più bello che la mia vita abbia conosciuto. L'audacia che mi ha condotta sino a qui non mi ha fatto desistere dalla paura di confrontarmi con te, tu grande, immenso, a dispetto del mondo che ci vuole tutti ricurvi. Non saprò che dire, mi mancherà la voce, tremerò dall'emozione fino a che non sentirò una tua parola, qualcosa che mi conforti da questo stato d'animo spremuto e acido come un limone. La vergogna è piena d'ardire si sa, ma se potessi misurarla con un termometro credo che scoppierebbe tanto dà calore alle guance e alla pancia. Ardire, osare, mi sono incamminata su questa strada, io che mi sento ancora piccola e impreparata alle cose della vita. E il mondo mi rende spesso ridicola per questa mia insicurezza. Lo sono fortemente insicura e ciò non è causato da quello che sto compiendo, ma dalle mie brevi esperienze che poco hanno importato e nulla mi hanno lasciato come testimonianza di una crescita interiore. Mi resta solo la mia volontà nell'osare e se non mi guarderai farò spallucce, sarà che sei troppo preso dall'essere un grande.





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giovedì 11 ottobre 2012

Pane e orgoglio.

Fermo, immobile, ti esce un urlo e lo soffochi. Ti fanno male le gambe perché le trattieni, anche loro immobili, doloranti dalla stretta di una ferita invisibile. Indolenzimento, malessere sono costretti dentro il contenitore che chiami corpo. Non ti dà respiro questa assenza di istintività, ma non vuoi che esca un anelito di emozione da te, non vuoi che nulla ti tradisca. Ti hanno insegnato troppo bene a soffocare i tuoi patimenti e rivelarli sarebbe solo vergogna. Deglutisci, l'unica cosa che ti riesce di fare di fronte a questo ulteriore strazio. Che nessuno sappia, che nessuno se ne renda conto, che nessuno possa prenderti in giro e farti sembrare meno uomo. Fin da piccolo ti hanno cresciuto a pane e orgoglio, un orgoglio smisurato che ti fa perdere il senso del limite. Sei comunque inquieto, in una stretta che ti prende al collo e non ti lascia che un denso affanno. Un uomo non piange mai, sebbene stia affogando in un mare di paure, di angosce. E alla fine sorridi, un sorriso amaro che ti piega la bocca in una smorfia  palesemente falsa. E poi ridi, con gli occhi lucidi e la tua risata si trasforma in un urlo pauroso, un latrato di cane morente. E ti inginocchi con gli occhi rivolti al cielo, un cielo incendiato dal tramonto. Lo stesso incendio che c'è in te e che non sai domare. Scendono solo ora le lacrime, la tua pena pian piano cola sulle gote, ma è troppo tardi solo il tramonto è rimasto di fronte a te. Lei se n'è andata, per sempre.





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Ventuno lettere

Ventuno lettere e ti si apre un mondo. Le puoi combinare come vuoi, ne puoi usare alcune di straniere, ma il fine non cambia. Ventuno lettere per scrivere una poesia, che inizia sempre con il nome dell'amata e tanti altri nomi con cui vogliamo fare un figurone. Ventuno lettere per scrivere un racconto di avventure, di sogni, di mostri. Ventuno lettere e puoi scrivere a chiunque tu conosca, lo puoi fare con la penna, puoi usare il computer, nulla cambia, solo il significato che tu dai a ventuno lettere. I più bravi, con queste ventuno lettere, sanno scrivere poemi, sonetti, canzoni e alcune di questi vengono studiati anche a scuola dove si va per imparare queste ventuno lettere. Ventuno lettere e io le sto usando tutte per scrivere queste ventuno righe, che poi saranno anche meno, non lo so. Ventuno lettere molto importanti perché bisogna conoscerle tutte e poi saperle abbinare tra loro e piano piano ne nasce una parola, poi una frase e poi, chissà. Con ventuno lettere, i più grandi poeti hanno descritto le emozioni, delle sensazioni, dei sentimenti e noi tutti abbiamo sorriso, o pianto, o applaudito alla loro bravura. Ma anche per loro erano sempre ventuno lettere. Da queste ventuno lettere escono migliaia di parole. Dalle più semplici, alle più complicate e tante non le conosciamo. Ma abbiamo la fortuna di conoscere queste ventuno lettere e avere tutte le parole in mano.




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mercoledì 10 ottobre 2012

Ho vissuto le mie sette vite

Ho vissuto tutte le mie sette vite.  Ora devo stare cauta, qualsiasi piccolo errore sarebbe la fine. Quando le hai ancora tutte davanti, non ci fai caso, sei leggera, un palloncino che incespica nel cielo ad addossarsi alla prima sventagliata, in scia dell'aria leggera. Poi chissà mai cosa accade e ne perdi una, manca all'appello. Ti giri, ti guardi alle spalle e la vedi. Una fatalità, ma non ti disperi, pensi che te ne rimangono ancora sei e sono tante, puoi ancora fare quello che vuoi. La vita prosegue, incontri, racconti, gente, fiumi di parole e di sorrisi. Un calendario sul quale segnare gli appuntamenti. Esci e ancora trovi un ingorgo, un problema e cadi. Non pensi, vai avanti. Altri giorni ti aspettano. Spensieratezza, entusiasmo e vivi, sei viva e dai mille. Sei mille persone in una. Questa leggerezza ti rende imprudente, non ti soffermi a valutare, sei troppo felice di correre libera, come corrono le nuvole nel cielo. Tu guardi il cielo e il cielo ti guarda, alzi le braccia e per un momento lo senti quell'abbraccio inconsistente al tatto, ma da sensazioni imperiose nella mente. E ruoti e balli. L'amore ti si avvicina appena. Ma non è tempo, hai ancora tante vite davanti. Non cammini, sei dentro una catapulta che ti fa volare, mangi la vita a bocconi e poi, ti svegli dal tuo sonno sbarazzino e non sei più ebbra di vita. Ti senti sempre meno disinvolta, più pacata. Hai corso troppo, i tuoi contorni non sono più nitidi e chiari e capisci che hai l'ultima occasione, l'ultima vita. Rallenti, ti imponi di essere un adagio musicale, una melodia di note austere. Hai paura di guardare il cielo. Non sai cosa ti riserverà questa manciata di vita, se ci sarà il miracolo dell'amore, se potrai ancora ridere e applaudire ad un tramonto. Continui, quasi scolorita e danzi piano, leggera.




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martedì 9 ottobre 2012

Ossigeno

Come respirerai adesso che ti ho tolto l'ossigeno della mia presenza? Quando me ne andavo ne rimaneva una cortina, come la nebbia nelle campagne d'inverno. E dopo pochi giorni boccheggiavi, eri già allo stremo delle forze e avevi bisogno di me, del mio respiro leggero, della mia onda positiva, delle mie parole che ti abbracciavano tutto. E diventavi campione, sorridevi, qualche volta hai pianto. L'ossigeno l'avrai finito ormai. Sicuramente avrai annaspato, ti sarai inginocchiato. Ma la notte è finita, ha ha dato posto ad un giorno di sole, che ti ha dato l'ebbrezza dello scandire i passi di sempre, quelli vecchi, quelli con poco ossigeno.







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Inizia la commedia

Ecco il palcoscenico, il sipario. Tra un po' inizia la commedia, posizioneranno gli scenari e poi entreranno gli attori. Davanti al palcoscenico, la platea si sta riempiendo caoticamente di persone. Attori non protagonisti di questa commedia. Comincia, si abbassano le luci, per poco più di un'ora, gli attori, sul palcoscenico, insceneranno personaggi di fantasia, ruoli diversi, rideranno, piangeranno, parleranno di mille cose. E alla fine uno scroscio di applausi invaderà il teatro. Si accenderanno le luci, calerà il sipario. Ma finita questa commedia, ne inizia subito un'altra, quella degli spettatori, attori di tutta una vita, ognuno nel proprio ruolo, ognuno protagonista. Insceneranno personaggi di fantasia, ruoli diversi, rideranno, piangeranno, parleranno di mille cose. Ma non si saranno mai applausi e il sipario sarà sempre calato, commedia dopo commedia, ruolo dopo ruolo.






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domenica 7 ottobre 2012

Rosa d'agosto

Ti ha lasciato una figlia. Come si lascia la borsa da ginnastica, lì, all'entrata. Non si è più fatto sentire, non ha voluto sapere nulla, in fin dei conti eri tu incinta. Ed è nata, la tua rosa speciale, il tuo primo vero amore. Quell' esserino che ti ha sconvolto la vita ma che hai accettato come fosse la cosa più naturale del mondo. E' nata un giorno di agosto, quando il caldo scottava e tu rabbrividivi dai pensieri. Ed è stato un colpo di fulmine, tu che non credevi più nell'amore. Volevi darle mille nomi, eri incerta perché volevi il più bello. E con orgoglio pensavi che avrebbe avuto il tuo cognome, non sarebbe stata di nessun'altro e nessun'altro avrebbe potuto reclamarla e portartela via. Ora Angelica cammina, ha messo i dentini e tu hai ritrovato il sorriso. Un giorno, un altro amore, ti rapirà e ti porterà per vie felici e acerbe per te, madre bambina. Ma ti sosterrà sempre il sorriso della tua rosa d'agosto che nessuno ti porterà via. Perché tu hai voluto a dispetto del mondo.







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Dammi la mano.

Andiamo. Dammi la mano, stammi a fianco. La strada sembrerà più corta e non ci saranno insidie. Ci sapremo difendere insieme, perché in due si ha più coraggio. Non rimanere indietro, non c'è nulla di pauroso se cammini con passi svelti e ben saldi. Era un vita intera che desideravo averti al mio fianco, anche per poche ore, ma queste ore per me sono molto importanti. Ascoltami mentre rido, è più eloquente di mille parole, sussurrami piano la via, quella che avremmo sempre voluto fare insieme. La rugiada del mattino ci bagna, ma non farci caso, tra poco uscirà il sole e asciugherà le nostre vite inumidite dal brutto tempo e dalla collera degli eventi. Dammi la mano, ti chiederei di non lasciarla più, ma ciò non è possibile. Beviamo dalla stessa bottiglia ma in due bicchieri diversi. Ondeggiano le tue parole a volte, sei insicuro, ma io ti chiedo solo di parlarmi con gli occhi. Quegli occhi scuri che mi accudiscono anche di notte, quando non ci sei. Non ci sei, ma sei una presenza costante perché sento la tua carezza spirituale e mi fa stare bene. Coccolami con i tuoi sguardi, come solo tu sai fare, mi renderai felice in questo mondo alla deriva. Ed ora vai, vai verso il tuo mondo ma ricorda che io sono qui, con una mano protesa che ti aspetto. Aspetto te, mio unico dono.





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sabato 6 ottobre 2012

Momenti mistici

Giurami che non sono una figura, un'ombra tra le tante che hanno costellato la tua vita. Non ti permetterei di avere usato il mio essere persona, il mio esserti custode solo per il piacere del tuo ego e non per la stima profonda che provavi nei miei riguardi. Guai non fosse così, le persone che profanano i sentimenti degli altri per un proprio tornaconto sono solo degli iniqui. E io non avevo visto questo in te.
Come tutti gli spiriti liberi avevo cercato l'anima gemella che credevo di aver trovato in te, fratello, amico, amante, confidente. Ma ho dato più io di te e sono a credito nel nostro mondo simbiotico. Si instauravano tra noi, dei momenti mistici, duranti i quali raggiungevamo vette di intimità sconosciute ai più. Era un innalzarsi al di sopra della mediocrità, ne avevamo la forza, ne sentivamo la potenza, ci bastava guardarci negli occhi e lasciarci andare. Sei volato altrove, senza di me ma con tutto il bagaglio di sensibilità ed essenza umana che ti avevo donato, insieme al mio spirito. Sciagurato, non sai che questa intimità valeva solo per noi? Non è un bagaglio che potrai disfare e offrirlo, non si adatterà a nessuno. Hai solo dissacrato il mio essere intimo, non ne trarrai fortuna, né aiuto. Non vorrei essere te, quando te ne accorgerai, perché sarà una scarica di terrore pensando a cosa possedevi e che ti ha inesorabilmente lasciato, per sempre.




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Ti aggrappi con le unghie.

Ti aggrappi con le unghie, sai che stai scivolando, inesorabilmente. Lo vedi con gli occhi, lo capisci dal movimento, ti senti cadere. Non puoi evitare la presa, ma ugualmente non puoi sottrarti alla rovinosa sorte. Conficchi le unghie ancora più a fondo, finché ti provocano un dolore terribile, ma non è nulla paragonato al momento in cui toccherai il fondo. Questa vita, chiusa tra due parentesi sta volgendo alla parola fine. Non è la fine, come morte del corpo, una fine della materia, ma la caduta dell'essenza che con un brivido leggero lascia una sfumatura di rosso, il colore del fuoco, un vapore ancora caldo che esce dalla tua pelle. E muore il tuo io, quello che doveva essere perpetuo, cade con te e si consuma, velocemente. Hai ancora la sensazione della tua coscienza ma è tutto un vorticare veloce che si immerge, si tuffa sempre di più nel buio. Trovi centinaia, migliaia di corpi come il tuo, abbandonato all'inesorabile fine di ciò che per tutta la vita avevi chiamato cuore. E urli e poi ridi, una risata pazza, come pazza sei ora che non sai dove ti trovi e sei nuda e scoperta. Sei completamente esposta al terrore che continua a trascinarti verso un fondo che non riesci a toccare. E ti lasci andare, il tuo corpo vola all'indietro veloce, quando sarai alla fine della caduta sarai un corpo come tanti, che attende che si spenga la luce, per sempre.




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martedì 2 ottobre 2012

Polvere alla polvere.

Polvere alla polvere. Una manciata di nulla. Non potresti nemmeno ardire di più, la bocca si secca e non hai più saliva. Forse torneranno i sorrisi di un tempo, di quel tempo spensierato che non hai goduto, troppo immerso in tutt'altri pensieri. Polvere alla polvere e in un attimo cala il buio, ma un buio mai visto, un buio che si può solo immaginare persi in un bosco. Un buio palpabile pieno di paure ed incertezze. Polvere alla polvere ed è una magia che ogni giorno ti fa aprire gli occhi e ancora perso nel nulla ti alzi e vai. Vai per il mondo e incontro al mondo anche se lui non viene da te. Tutti quei rumori indomabili ti sfrecciano accanto e addosso, ma vai. Polvere alla polvere perché di polvere si tratta, quella che ogni giorno ti si appiccica addosso e tutte le docce del mondo non riusciranno a lavare via. Polvere alla polvere dei tuoi umori che rimbalzano qua e là tra le pareti della tua testa non trovando mai pace o anche solo un po' di riposo ed è freddo. Maledetto freddo che penetri nelle ossa e loro non rispondono più. Polvere alla polvere e la paura di soffocare in questo mondo pieno di polvere d'uomo.






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Il castello di carte.

Le mani ferme, ad appoggiarne una sopra l'altra. Anche l'aria è immobile, un impercettibile errore e sarebbe crollato. E il roteare delle carte senza appigli, prima di cadere, avrebbe turbato gli equilibri e la magia di quegli istanti. Avevo raggiunto la vetta fatata, ora, un soffio di rugiada scendeva dal castello sospeso, in un'aria vibrante. Animandosi mostrava alberi dalle fronde malinconiche. Si scorgeva l'orizzonte che fluttuava intorno in una conturbante freschezza. Luogo magico, dove chiunque avrebbe voluto entrare per veder scorrere i piccolissimi fiumi tra gli arbusti spinosi. Un viaggio proibito nella fragilità che il luogo e il tempo imponeva. Si poteva solo tornar bambini e ritrovare i colori e le immagini pure. Sullo sfondo la tenerezza dell'età, ingenuo desiderio di sogni irrealizzabili. All'orizzonte si intuivano delle forme ma nessuno riusciva a vedere fino a là. E così abbiamo inventato. Si potevano immaginare cose fantastiche, ad occhi chiusi l'immaginazione esplode, come una cascata d'acqua, impetuosa, infinita. Tutti hanno afferrato quell'immagine fantastica e l'hanno tenuta stretta al cuore. E li è rimasta per sempre, anche ora che una brezza dispettosa ha fatto cadere il castello di carte.







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